mercoledì, dicembre 26

Femminicidio: sia la Chiesa a fare un Mea Culpa

Da Il Messaggero, martedì 25 dicembre 2012


GENOVA  
E' polemica a Lerici per il manifesto affisso fuori dalla Chiesa da Don Piero Corsi: poche righe in cui, nella sostanza, viene data alle donne parte della colpa dei femminicidi.

Manifesto choc. L'estratto dalla lettera apostolica 'Mulieres dignitatem' commentata dall'editorialista del sito Pontifex.it dal titolo «Donne e il femminicidio facciano sana autocritica. Quante volte provocano?» affisso sulle porte della chiesa di San Terenzo, a Lerici (Spezia) ha scatenato una bufera tra i parrocchiani. 

Don Piero. Sostanzialmente, il volantino 'accusa' le donne di meritarsi il peggio per essersi allontanate dalla virtù e dalla famiglia. Don Piero Corsi, che ha curato l'affissione del manifestino, era già noto alle cronache per la sua passione al 'tatsebao', avendo già dedicato fogliettoni satirici contro l'Islam e contro gli immigrati appesi alla porta della chiesa.

Non si può essere indifferente a quanto la Chiesa sta cercando di fare andando ancora una volta a "sollecitare" il senso di colpa comune. Nel suo modo subdolo di plagiare le menti. 

Partiamo innanzitutto dalla definizione, che pare che qualcuno, che nominerò più avanti, abbia anche deriso adducendo il termine ad un uso improprio giornalistico ( tromboni di giornali e tv ). Su Wikipedia si legge che il termine femminicidio si riferisce alle violenze che vengono perpretate dagli uomini ai danni delle donne in quanto tali, ossia in quanto appartenenti al genere femminile. Il termine era utilizzato in Inghilterra già nel 1801, ed è stato ripreso dalla criminologa Diana Russell nel 1992, nel libro scritto con Jill Radford " Feminicide: The Politics of woman killing". La Russell identificò nel femminicidio una categoria criminologica vera e propria: una violenza estrema da parte dell'uomo contro la donna "perchè donna", in cui cioè la violenza è l'esito di pratiche misogine.
Un anno dopo nel 1993, l'antropologa messicana Marcela Lagarde, dall'analisi dei crimini di massa compiuti contro le donne, propone la sua definizione, che a parer mio, mi pare dettagliata ed esauriente.

"La forma estrema di violenza di genere contro le donne, prodotto della violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato, attraverso varie condotte misogine-maltrattamenti, violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa, sul lavoro, economica, patrimoniale, familiare, comunitaria o anche istituzionale-che comportano l'impunità delle condotte poste in essere tanto a livello sociale quanto dallo Stato e che, ponendo la donna in una posizione indifesa e di rischio, possono culminare con l'uccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa, o in altre forme di morte violenta di donne e bambine: suicidi, incidenti, morti o sofferenze fisiche e psichiche comunque evitabili, dovute all'insicurezza, al disinteresse delle Istituzioni e alla esclusione dallo sviluppo e dalla democrazia".

Spieghiamo perchè esauriente. Ancor prima di arrivare all'atto estremo dell'omicidio, spesso la donna subisce prima terrorismo psicologico. La questione fondamentale degli ultimi decenni, è quello di aver assistito ad una crescente autonomia della donna, a cui non ci hanno forse educato da piccoli. Anche in casa mia, c'era in qualche modo una disparità di trattamento, con noi figlie impegnate nelle comuni faccende di casa, ed i fratelli impegnati forse solo a preoccuparsi strettamente delle loro cose ( questo nella migliore delle ipotesi ed in base al loro senso comune). Se la donna arriva a subire maltrattamenti di tipo psicologico ancor prima di quello fisico, è proprio perchè il retaggio culturale e la nostra forte tradizione cristiana, ci hanno insegnato a separare i ruoli e soprattutto a mantenerli separati, ancora oggi, in una società che non può più permettersi questo. L'uomo, alcuni tipi di uomini, purtroppo, non riescono a tollerare donne intelligenti, autonome, in carriera, ed a volte nei casi in cui la donna sembra guadagnare anche più del marito, si condivide lo stesso tetto in una insana frustrazione che non è sempre gestibile. Da qui si parte con le offese gratuite che fanno ancora presa su una base fatta di sensi di colpa, dovuto proprio alla forte morale cristiana e tradizione popolare in cui siamo stati cresciuti. La Chiesa dovrebbe a parer mio adeguarsi a questo cambiamento, a cui non riuscirà a far fronte se non con intelligenza e saggezza.  E piuttosto che prendersela con chi subisce, dovrebbe inveire contro chi manipola i nostri pensieri imponendoci "status quo", che fanno di certo leva sui contesti sociali più deboli. Inorridisce Telefono Rosa, che chiaramente urla all'offesa contro la dignità della donna, ma ancora di più contro un manifesto che può essere inteso come una vera e propria istigazione e giustificazione di atti criminali vergognosi. Il messaggio lanciato da Don Corsi, ripreso da quello di pochi giorni prima di Bruno Volpe, nell'articolo uscito su pontex.it dal titolo " Le donne ed il femminicidio, facciano sana autocritica. Quante volte provocano?", mette insieme due elementi che sono su piani diversi: dogma e costume. L'uno indiscutibile e necessitante di assunzione acritica ed inderogabile: NON UCCIDERE e l'altro, il costume appunto, così soggetto alle fluttuazioni dei tempi, delle mode, delle abitudini sociali e recentemente declinandosi anche sulle pericolose chine della politica che si fa attualmente. Ebbene, questo gigante della Chiesa, riesce a compiere un'impresa che sarebbe degna di nota se non fosse un vero e proprio abominio nel suo delirante contenuto. Senza nemmeno forse accorgersene, si riesce a piegare il dogma al costume, compiendo un'operazione mirabolante, in cui l'elemento fragile e soggetto al cambiamento, il costume appunto, piega con la sua duttilità la forza del dogma che per questa via trova la possibilità di fluttuare anch'esso, adattandosi di volta in volta ad una interpretazione che ne giustifica l'uso del suo contrario: UCCIDI, PUOI FARLO!. Ed è proprio qui che si compie la sua opera delirante, nel momento in cui il dogma si impone, diviene nuovamente "dogma", non potrebbe essere altrimenti, e quindi il "puoi farlo" diventa automaticamente "devi farlo". Ed il cerchio è chiuso. 
E ripeto qui non si tiene nemmeno conto dei maltrattamenti e delle violenze consumate tra le mura domestiche. Già nelle parole di Maurizio Patriciello del maggio scorso, si mette in evidenza una donna provocatrice.
Nelle parole di padre Maurizio nell'articolo, "Fedeltà. Per tutti l'unico antidoto delle passioni criminali" apparso il 18 maggio scorso sull'Avvenire, si evince chiaramente che l'uomo è colui che ama e richiede fedeltà, mentre la donna ha per indole una naturale tendenza all'inganno, mancando di pazienza e di fedeltà, appunto, nei rapporti di coppia. Forse non si sa che l'uomo che vive in una condizione in cui non è lui ad essere l'elemento portante, tende molto più facilmente al tradimento, per sopperire alle sue mancanze, nel desiderio inconscio di "avere ancora un valore". 
Credo che la Chiesa debba farsi un mea culpa, prima di incolpare noi comuni mortali. Quasi come chi ci governa, ci illude delle dispute della destra e della sinistra, degli operai e dei padroni, mentre da sempre lavora nella costruzione di sovrastrutture mentali, che oggi spiegano molte delle tragedie che leggiamo. La Chiesa dovrebbe non metterci gli uni contro gli altri, bensì dovrebbe capire che sia da parte dell'uomo che da quella donna, ci deve essere una reciprocità di ruoli nel rispetto reciproco.
I contesti sociali più deboli andrebbero tutelati, capita che sono le stesse donne a lasciare che tutto questo avvenga. Spesso infatti questi uomini vengono anche difesi dalle madri, dalle sorelle e dalle cognate. La donna che chiede rispetto viene raccontata come una donna oppressiva ed anche gelosa, non si riesce a raccogliere il senso delle sue lamentele. A volte credo davvero che le ultime a stare dalla parte delle donne, spesso, siano proprio le donne. 
La donna, a mio parere, ha buttato via quello per cui nel 1968 le "femministe" hanno combattuto. Abbiamo divorato la nostra intelligenza, lasciando ancora che la società ci usasse a loro piacimento. Stando a loro gioco meschino, pare che l'unica cosa che abbiamo conquistato, sia l'uso della minigonna, e non per l'uso in sè, ma nel fatto che ci uniformiamo senza conservare la propria identità. La vanità di cui ognuno di noi è in preda, non ci consente di guardare le cose per quelle che sono e per quelle che dovrebbero essere.  Dovremmo ritrovare di nuovo il senso di quella battaglia, ed invece siamo figlie del "consumismo".  Ma questo oramai fa parte della realtà quotidiana di tutti, senza distinzione tra i sessi. Dovremmo tutti ritrovarci non più nelle cose fluttuanti, ma nelle fondamenta del nostro essere. 




in collaborazione con Dott.sa Patrizia Buzzatti

Link di riferimento


Un parroco affigge un volantino

Femminicidio: pazienza e fedeltà secondo Avvenire

Ilaria Donatio

Fedeltà: per tutti l'unico antidoto alle passioni criminali

Le donne ed il femminicidio facciano sana autocritica, quante volte provocano

Quando (anche) le parole uccidono le donne






















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