sabato, luglio 26

La Valigia

Di quella stanza niente più mi era familiare oramai, se non il pavimento.  La mobilia, ogni oggetto, perfino i parati erano cambiati, ma il pavimento no, era sempre lo stesso. Negli anni,  avrei cambiato solo quello, non mi era mai piaciuto. In quella stanza rivivevano i ricordi di una convivenza forzata con mia sorella. Di quel che c’era allora,  nell’accozzarsi di due caratteri diversi, lontani per età e costantemente in competizione, non era stato conservato niente da mia madre. La flebile luce che timidamente entrava attraverso la piccola fessura della porta semichiusa,  donava immagini di particolari nuovi che volevo imprimere nella mia mente. In quell’ordine  e nella logica spietata dello scorrere degli anni,  esaltava il disordine delle ultime cose da raccogliere. Tutto ciò che avevo custodito in 35 anni sarebbe stato racchiuso in una valigia, che non avrebbe dovuto pesar più di 25kg.  Stavo lasciando tutto e di un appartamento dove avevo trascorso da sola 7 anni, portavo con me l’essenziale. Avrei  mai potuto chiedermi se stavo dimenticando qualcosa?
Attorno a me tutto era cambiato, ma in quel silenzio di un’alba che faceva fatica a venir fuori, sentivo i piccoli rumori rituali di mio padre in cucina: l’acqua del rubinetto scorrere,  il cassetto delle posate. Il tovagliolo poggiato sul vassoio di acciaio, le quattro tazzine bianche dai contorni spessi, il cucchiaino lungo che serviva a raccogliere la schiuma di un caffè che saliva lentamente ad inondare la cavità che lo accoglieva in un mare schiumoso di color nocciola. Mi ritrovavo adesso a rivivere la quotidianità che avevo deciso volontariamente di lasciare a soli 20 anni. Il sussurro dei suoi movimenti e quel profumo di caffè davano pace all’ansia che  avevo del viaggio, il pensiero di dover affrontare tutte quelle ore . Come resistere a 9 ore di volo? L’idea mi terrorizzava, respiravo ed inspiravo lentamente per farmela passare.
Mio padre, un carattere adorabile, sensibile, generoso, paziente, ironico, sarcastico, l’espressione nobile della vera Napoletaneità, di quella raccontata cinicamente da Goethe, meravigliosamente nei film di Totò, nella poesia di un Troisi malinconico. Non aveva avuto giustizia di una statura che non lo premiava per le sue splendide caratteristiche.  Lasciandomi la tazzina di caffè bollente sulla scrivania mi chiedeva: “A che ora sei pronta?” Sapevo che era in pena ed anche più in ansia di me per quel viaggio che sarebbe durato 25 ore con tre aerei da prendere:  Napoli - Monaco,  Monaco – Washington ,  Washington - Columbus.  “ Babbo non darmi fretta, rischio di dimenticare qualcosa.”  Sapevo di mentire a me stessa, avrei non solo dimenticato qualcosa, dimenticavo tutto. Napoli, l’Italia, i miei genitori, i miei fratelli, i miei amici, le mie attività, i miei interessi, la piscina, il teatro,  dovevano cadere nell’oblio, in quel momento i sentimenti dovevano essere soffocati per dare spazio alla determinazione. Oramai avevo preso la decisione di andarmene e non potevo credere in quel momento di aver fatto la scelta sbagliata, non potevo farmi assalire dall’amore, dall’affezione. In quell’attimo senti viva, reale, la decisione che hai preso, senti che ti graffia e ti fa male. Ti rendi conto che ogni cosa ha un suo prezzo, anche quando hai raggiunto finalmente la cosa per cui hai combattuto da tempo, ti si presenta con il suo conto. Sono i miei amici ed i miei colleghi a ricordarmi del sogno che avevo chiuso in un cassetto che magicamente si è aperto 15 anni dopo.
Così in quel saluto lasciavo a Napoli anche i miei piccoli animaletti, due gattini ed un cagnolino,. Erano parte di me, li avevo raccolti per strada e portati a vivere con me. Erano stati trovati a poche settimane dalla nascita in posti diversi ed in momenti diversi.
Erano stati momentaneamente lasciati nell’appartamento dei nonni paterni. Mio zio, che lo abitava da solo, era morto qualche mese prima, e la decisione fu presa per far sì che avessero uno spazio adeguato per poterci vivere, così come erano stati abituati. Con loro, anche tutti i pupazzetti, le copertine, le ceste e qualche mio vestito per lasciargli il senso di familiarità, per dargli l’illusione di non averli abbandonati. Quella decisione mi dilaniava, ma non potevo far altrimenti. A Columbus, non avevo una meta, ero alla ricerca di una sistemazione, forse di una stanza, forse di un appartamento, non sapevo ancora cosa aspettarmi.
Così mio padre da quel momento sarebbe passato un paio di volte al giorno a controllare che tutto fosse apposto. Mi ha poi raccontato dopo un po’, di una anziana signora che lo ha chiamato una sera a casa, una vicina di casa dei miei nonni.
La signora chiedeva se mio zio fosse realmente morto. Mio padre meravigliato ed incuriosito, nella comicità della cosa, ci scherzava su chiedendo come mai avesse fatto quell’arguta domanda. Così, lei garbatamente gli ha detto: “ Giannino, ogni mattina vedo le persiane alzarsi e la sera richiudersi, e io penso che ora là non c’è nessuno, facite piglià a luce ai mobili? “
I miei genitori in casa avevano accolto Shari, un meticcio tipo volpino, che iniziava la sua convivenza con Tommy, il  cane di casa, un furbone dai colori dei Dalmata, ma che nulla aveva a che fare con loro.
Ed ecco, il momento di chiudere la valigia, peli di gatti dappertutto. L’avevo lasciata aperta giorni prima sul divano e la mia Titti ci dormiva dentro in una silente disperata supplica di essere portata via con me. Mia madre nascosta tra le cose da sistemare in casa, celava goffamente il dispiacere che stava provando, me ne accorgevo dai movimenti, dai sospiri. Ed in quella empatia, in quel cordone ombelicale mai spezzato, rintanava anche il mio dolore, consapevole del fatto che solo qualche anno prima aveva sconfitto un carcinoma al seno. Stavo andando negli Stati Uniti ad inseguire una speranza, la speranza di aver meritato il lavoro di ricercatore, di poter concludere dignitosamente, in uno dei laboratori più importanti al mondo,  il mio dottorato in farmacologia ed oncologia molecolare. Avevo bisogno di una giustificazione per quello che sentivo allora come un voltare le spalle.  Madre severa e dolce nelle sue paure, nelle sue ansie. Da giovane era molto bella, per questo motivo mio nonno la tenne di fatto segregata in casa. L’incontro con mio padre fu quasi una liberazione da una prigione fatta di mura domestiche, uncinetti e ferri. Mi ha riempito la valigia di cappellini, colorati, a strisce, con palline. “Lì fa molto freddo, ne avrai bisogno”. Un ultimo sguardo attorno, un saluto a Shari e con le mani sporche di saliva, ho preso la borsa del pc. Non ho avuto io la forza di chiudere la porta di casa, ho sentito quel piccolo tonfo dietro di me, mentre scendevo quell’unico piano che mi separava dall’auto. Era l’alba. L’odore acre dei roghi che sistematicamente avvengono nella notte era nell’aria, in quel momento anche quelli mi appartenevano. A poche centinaia di metri c’era Angelo che mi aspettava, il mio compagno, è stato lui a farmi prendere con forza una decisione che tardava ad arrivare, ma assolutamente necessaria. Ho conosciuto Angelo dopo un anno che iniziava la sua battaglia ambientale, la sua guerra contro i roghi. L’uomo de La Terra dei Fuochi, così conosciuto da quanti lo seguivano in rete. Un ragazzo alto, autoritario, con una presenza scenica naturale nel descrivere i fatti da protagonista nei documentari che lo hanno riguardato. L’interesse era arrivato a lui da più parti, finanche da una radio australiana.
In questo viaggio avevamo riposto il sogno di una sistemazione che ci portasse lontano dai problemi di cui volontariamente ed involontariamente ci eravamo caricati. Una zavorra che volevamo lasciare nel desiderio e nella speranza di poter finalmente volare.
La strada era libera, non riuscivo in auto a seguire i discorsi e le battute che faceva mio padre. La mente era annebbiata dalla confusione di un arrivederci. Lo scorrere della strada era una pellicola di un film visto e rivisto tante volte che adesso andava a rallentatore.

In un attimo, la mia valigia era in strada, fuori all’ingresso dell’ aereoporto. Un abbraccio fugace e la sconfitta di mio padre di fronte alla sua debolezza. 

giovedì, gennaio 23

PANDORA dall'idea alla realizzazione

PANDORA è nata dall’esigenza di un confronto tra i membri della comunità medico-scientifica, affinchè si potesse portare chiarezzanelle informazioni che negli ultimi mesi stavano attanagliando la Campania ed il suo popolo, oltre a poter prestare la propria conoscenza all’attuazione di provvedimenti politico-organizzativiche sono oggi assolutamente necessari per salvare il salvabile.


Scienziati appartenenti a vari campi di indagine tecnico-scientifica stanno interagendo ecollaborando tra loro, fornendo ciascuno il proprio contributo, al problema dell’inquinamento in Campania (e ad altre parti di Italia) in un contesto di multidisciplinarità.

Il mio fu un accorato appello a tutti, medici, tecnici e scienziati, per poter rispondere insieme sull'argomento e nell'ambizione comune di trovarne insieme le soluzioni. L’invito fu lanciato anche a chi fino ad allora era già in prima linea, in modo da poter donare al gruppo di studio, che allora si stava formando, la competenza e le informazioni necessarie al fine di discuterne insieme in un nuovo contesto multidisciplinare.
Abbiamo assistito alla partecipazione spontanea di professionisti che condividevano il comune desiderio di  poter COSTRUIRE insieme il NOSTRO FUTURO.

La figura dello scienziato e della comunità stessa, deve assumere un ruolo di responsabilità sociale nei confronti della collettività.

La Campania ha bisogno di voci autorevoli, che non sia la singola voce, ma una comunità, che metta a disposizione la loro conoscenza attraverso evidenze scientifichee non basandosi su opinioni, le stesse che raccolte dalla stampa generano confusione e disorientamento.

Bisogna esimersi dal dichiarare affermazioni perentorie senza alcun dato certo.

Dagli Stati Uniti assistevo inerme ad un continuo sciacallaggio e anche chi avrebbe dovuto tutelare la diffusione di certe notizie era complice del silenzio, o chi avrebbe potuto e affermare con veemenza, sulla basi di studi validati, le proprie ragioni era tenuto da parte. Allora ecco che ho capito che avevamo bisogno di un gruppo multidisciplinare aperto a tutti che condividesse ricerche e studi, intenti e progetti, affinchè la nostra regione, il nostro Paese ed i suoi abitanti venissero tutelati da chi stava speculando sul problema.

PANDORA oggi vanta di nuove adesioni e annovera al suo interno professionisti di alto profilo provenienti anche da diverse parti di Italia e dall’estero. Sta procedendo la raccolta di informazione tecnica e scientifica - dimostrabile ed inoppugnabile – in merito alla tematica delle contaminazioni ambientali e del loro possibile impatto sociale e sanitario (presente e futuro) causate dallo smaltimento illegale di rifiuti in Campania e in altre parti di Italia. L'opera di raccolta dati e la più grande partecipazione di competenze, ci permetterà di descrivere la questione dettagliatamente e quindi di indicare delle proposte tecnicamente praticabili ed economicamente sostenibili. 

PANDORA sta lavorando alla stesura di documenti integrativi al primo Documento Unico Condiviso, oltre ad aver messo a disposizione per i mass-media, le Istituzioni e la cittadinanza una piattaforma dove poter raccogliere suggerimenti e dubbi, al fine di poter permettere agli interessati una costruttiva interazione con il gruppo di studio. Il forum aperto a tutti è al seguente link www.taskforcepandora.forumfree.it. Stiamo lavorando alla realizzazione del sito web che rappresenterà un contenitore di documenti e dati accessibili a tutti.


                                                                              Columbus, 18 Gennaio 2014
                                                                                           Paola Dama