sabato, ottobre 5

La differenza

La differenza

di
Paola Dama


La città
Quell’angolo di cielo nel primo pomeriggio era sereno, nessuna nuvola, l’aria tersa e respirabile. Appena la mattina aveva piovuto, ogni cosa aveva trovato il suo naturale risveglio. Tra i palazzi grigi e consumati, il celeste si esaltava nella sua elegante trasparenza. I margini erano la cornice di un quadro che sai di ammirare una sola volta.
E il silenzio di quell’attimo riempiva l’anima di Federica assetata di tanta bellezza.
Occhi neri, profondi, ciglia ricurve e folte, lo sguardo intenso e  fresco di aria, di vita, di amore che porta con sé l’amara consapevolezza di quanto sia effimero quel sospiro di tale grazia.
“A volte dimentico di guardare il cielo, ma oggi …” ferma, immobile a lasciar fotografare la sua posa dall’amica BiancaMaria ferma lì al suo fianco, sguardo cupo, basso. Quell’attimo passò.
Un rumore ridondante di un sacchetto di bottiglie di vetro lanciate nel viale aveva interrotto quel silenzio, come fa una sveglia martellante che al mattino ti rapisce da un dolce sogno. E nella repentina consapevolezza di trovarsi in una di quelle strade che sai di dover percorrere velocemente, un motorino incurante della presenza delle due ragazzine lo attraversa impazzito. Lo sguardo terrorizzato, condiviso, il pericolo era stato scampato: la borsa era stata messa a tracolla.                                        
“ Vedi perché ti dico sempre di mantenere la borsa in questo modo?”. Compagne di scuola, di vita,  BiancaMaria aveva sempre tanta premura per Federica, credeva che i suoi consigli potessero proteggere l’amica del cuore dalla sua fragilità. I passi avanzavano frettolosi. Saltellanti sui sampietrini  tra escrementi di cane, cartacce, siringhe. Il portone di casa era ad un altro passo, un salto più lungo.
Rientravano a casa ritrovandosi ogni volta in quel vicolo stretto di Mezzocannone nel centro storico di Napoli, a cavallo tra il mare e la collina. Quella via è il centro della vita universitaria e studentesca del capoluogo Campano. Ha sede qui infatti, la prima università di Napoli, la Federico II. Antichi musei di scienze biologiche e naturali sono situati al suo interno e la biblioteca universitaria consta di oltre 1.200.000 volumi e di circa 18.000 periodici.
E guardarla dal basso, dall’incrocio che porta al mare, quella salita grigia, scura sembra  colorarsi di coriandoli in caduta libera. Studenti provenienti da ogni parte della Campania la percorrono, frettolosamente, con ansia in quel ronzio che le è caratteristico. L’affanno copre quei rumori e la testa china copre distrattamente librerie, copisterie, cartolerie, bar e locali caratteristici di una Napoli che fu.
Non c’è più memoria della sua etimologia. ll nome della strada non fa alcun riferimento a episodi di tipo bellico o a un'arma. Allude invece ad una fontana smembrata per l'ampliamento della strada, fatta costruire nel secolo XV dal Re di Napoli e duca di Calabria Alfonso II. Questa lunga fontana in piperno, addossata al muro per l'abbeveramento dei cavalli, era dotata di un tubo estremamente corto e rappresentava un personaggio aristocratico in atteggiamento impacciato al punto che 'o Rre 'e Miezocannone" divenne un appellativo per denotare un portamento ridicolo o particolare goffaggine.
I suoi resti furono conservati in una deposito comunale e così che andarono successivamente dispersi. Fino a che una parte di essi è stato ritrovato, alcuni anni fa, da Giancarlo Alisio: un pezzo di marmo quadrato con una iscrizione ad Alfonso II e una testa di medusa da cui zampillava l'acqua, analogamente alla Fontana dei Serpi presso via del Pendino.

Il Palazzo
Le ragazzine finalmente entrano di corsa nel portone,  affannate e un po’ svampite. L’ansia di volersi trovare al riparo nell’androne del palazzo a mascherare i rumori assordanti di una città in fuga ed in trappola.
Signorinelle belle! Di corsa? E oggi un po’ più tardi eh?” Ecco la voce familiare di Don Pasquale, il portiere, un uomo di corporatura minuta, gambe arcuate, a causa delle quali probabilmente sarebbe stato anche più alto. Dicevano di lui essere un bravissimo calciatore da adolescente, infortunato ad un ginocchio ha scelto di fare un lavoro sedentario. La sua sediolina era sempre al di fuori della sua portineria, a scambiar parole buone per tutti e a venir a conoscenza di quanto accadeva nel quartiere. Qualcuno sosteneva che le sue capacità sensoriali andavano ben oltre la Sanità.
“Eccole le nostre bambine! Sono arrivate”. Il cortile del palazzo era un bacino di vite, di rumori e di profumi di un giorno che trascorre scandito dall’odore del caffè al mattino,  dalle radioline accese delle massaie, dalle stoviglie dell’ora di pranzo e dal ragù della domenica. E i panni gocciolano appesi alle corde legate ai balconi, in una nuova scenografia quotidiana.
Il Palazzo era di cinque piani, c’era una scalinata centrale da cui partivano due corridoi aperti, senza infissi che percorrevano esternamente tutta la struttura. Ancora senza ascensore, l’uso dei panieri era una sorta di canto. Ognuno intonava in base al piano che si doveva raggiungere, e l’urlo più alto rimaneva quello del quinto. L’uso del citofono era raro, la vita si svolgeva dentro e fuori le proprie dimore.
Puntuali, nell’ora del rientro delle loro figlie, la madre di Federica e di Bianca, si ritrovavano affacciate al balcone comune sull’androne del palazzo. In attesa di vedere le loro ragazze avrebbero buttato la pasta per mangiarla rigorosamente al dente. Premura di mamma. Tra le loro rughe traspariva l’avvenenza e la bellezza della tenera età passata. I giorni si sono contati solo nell’attesa delle occasioni speciali.

Anna:
E che vi ha detto?

Rosa:
Mi ha detto di prendere sali minerali e vitamine. Mi ha dato pure una                               medicina, solo che adesso non ricordo il nome…
ho dato la ricetta a Gianni,  vede lui se lo trova nel suo reparto…

Anna:
Ieri ho chiesto a Gianni di portarmi qualche medicazione.

Rosa:
ieri sera al pronto soccorso non si è capito niente. E’ tornato a casa distrutto.
               
Anna:
Perché che è successo?!

I tacchi rumorosi rimbombavano tra le scale del palazzo, il passo frettoloso e deciso. Il ticchettio irregolare. La signora Scognamiglio, aveva sposato un conte, di quelli pochi che continuavano a mantenere un titolo nobiliare in una Napoli in cui il voi borbonico dona una regalità a chiunque. Le sue origini e la sua eleganza vengono interrotte da un urlo isterico.

“Maronna mia con sti panni spasi!
Mi deve andare a finire sempre l’acqua addosso!”

E Rosa in una smorfia ed un gesto plateale si rivolge all’amica dicendo:

Si lamenta sempre a’ contessa!
-e poi aggiunge-
E Renato? Quando dovrebbe tornare Renato?

Anna:
Ancora qualche giorno e sta qua!

Rosa:
Glielo avete detto di Don Pasquale?

Anna:
Ho pensato di dirglielo quando torna, per adesso lo voglio far stare tranquillo-
persa in un nostalgico sospiro- ma poi quante altre cose che non sa!


Don Raffaele

I rumori della città contenuti tra quelle mura del palazzo e il portone dell’androne vengono interrotti da un calckson, è il camioncino di  don Raffaele.


    Rosa:
Don Raffaele! Mò è arrivato?!
Qualche altra cosa è successa!

Rosa e Concetta corrono giù per le scale. Musica neomelodica suona dal camioncino. Una impalcatura di scaffali di alluminio, porta ogni tipo di cibo e di bevanda. Roba fresca, roba presa nelle campagne dell’aversano e del Napoletano. La mozzarella di bufala di Aversa, il fiordilatte di Agerola, i pomodorini del Vesuvio, l’asprinio dell’Agro Aversano, i cavolfiori di Acerra, la pasta di Gragnano, la pizza a metro di Meta di sorrento, il miele biologico e l’olio extravergine del salernitano.
Don Raffaele, un uomo sulla cinquantina che porta sulle spalle il peso dei suoi anni, lavorava al comune, poi per una disgrazia familiare dovette lasciare Napoli per poi ritrovarsi ad arrangiarsi in quello che considerava il business migliore che avesse mai potuto pensare.
Sudato con un bicchiere in mano, appoggiato alla porta della portineria, raccontava la sua giornata al portiere del palazzo seduto alla sua piccola scrivania.

mi hanno dovuto pure  prestare il crick, il mio si è rotto!

Don Pasquale
Ma dove è successo?

Don Raffaele:
         Sulla statale dietro al cimitero, mentre passavo ho sentito una botta
e me so pure cacato sotto!!
                    C’era un fosso enorme, ieri non c’era ..


Don Pasquale:
Sarà stata la pioggia di stanotte

Don Raffaele:
…significa che domani   mi stong cchiù accort,
                                               mò lo tengo segnalato!..
     Un altro che tengo segnalato…

Don Pasquale:
Già ho capito, lo tengo segnalato anche io

Don Raffaele:
….quello dietro ai monaci…

Don Raffaele:
i preti ci hanno messo pure un cartello:
                               per chi buca la ruota un caffè ed una benedizione…


Don Pasquale:
          accussì si fann le offerte ai giorni d’oggi….
-girandosi verso la porta-
Donna Carmela buongiorno!

Carmela (fuori campo):
                                     A quest’ora venite??? Oggi che è successo?
Qualche altra novità?

Don Raffaele:
Stavo appunto spiegando a Don Pasquale…

Carmela:
Uè io non tengo tempo da perdere
                               questi mò arrivano e vogliono trovare pronto!

Don Raffaele esce dalla portineria. Il portiere rimane solo seduto, il quadro del papa e di Pertini, un corno, posta da consegnare, attrezzi disordinati e una lettera sulla scrivania.
La maglietta macchiata, le mani unte, gli occhiali cadenti sul naso, sospira in una smorfia di smarrimento e legge..

      Capisci quando parlo di differenza?
Tu dici a qualcuno: "questa mela è cattiva". Ma a quella mela lui ci è abituato. Ti guarderà come se tu fossi matto. Quello che devi fare è dargli una mela migliore. Anche solo un pezzetto. Non importa, anche solo un pezzetto. Gli dici: "adesso assaggia questa". E lui dice: "diamine, è diversa". Non so se mi piace di più , ma è diversa", e poi forse comincia a interessarsi, e dice: " dammi una mela intera , vediamo che succede"

La strada

Quel pomeriggio era caldo ed afoso. Donne in abiti scuri, tra i fiori, rose e tulipani, recitano sedute il Rosario vicino alla Madonnina, nel piccolo movimento di dita ed il capo chino.

Ed intanto lo schiamazzo era puntuale nelle giornate estive. Ragazzini per strada ad inventarsi il gioco del calcio con  porte del campo immaginario improvvisate tra sacchetti di spazzatura.

Carletto:
Ma dove tiri? Guarda dove l’hai buttata!

Checco:
E vabbè vado io a riprenderla.

Mentre Francesco scava tra i rifiuti per cercare il pallone, il portiere raggiunge i ragazzi affannosamente.

Don Pasquale (con tanto di affanno):
Che state facendo? Mannaggia…
non ce la faccio nemmeno a correre!
Avete scombinato tutti i sacchetti.

(i ragazzini ridono)

Abbiamo fatto l’ultima riunione di
condominio proprio per mettere un poco di ordine qua fuori!


Carletto:
e tanto chi se ne accorge?

Don Pasquale:
chi se ne accorge?
Avete scamazzato tutti i sacchetti del ragioniere,
proprio lui che è un matematico
se ne accorge subito….
Mannaggia!
Chill è accussì preciso!

Carletto:
Lo hai trovato? Checco lo hai trovato?

Intanto un auto passa lanciando carte ed altro dal finestrino della macchina.

Vecchietta seduta:
ma con tutta questa munnezza che ce sta in giro,
chist proprio qua deve buttare le carte!

Anna (torna con le buste della spesa):
Francesco! Francesco!
Non ti sporcare un’altra volta.


Checco (tra urla di dolore):
Mi sono tagliato, mi sono tagliato!

Don Pasquale:
Mannaggia a morte!


Al Prontosoccorso

Seduti su sedie di fortuna in mezzo al corridoio, aspettano l’infermiere per medicare Francesco. Il pavimento segnato, i muri fatiscenti. L’odore di medicinale misto a fumo di sigaretta acquisiva una nuova fraganza.
Sul muro i ricordi di chi è stato là ad aspettare a lungo, scritte che forse non verranno mai lavate via.

Anna (rivolgendosi al figlio):
Te lo dico sempre di stare attento a giocare là in mezzo.
Ora che sta tornando tuo padre  ti fai pure trovare così


Don Pasquale:
Stiamo tutti aspettando il suo rientro,
ora più che mai.

Concetta:
già!

Don Pasquale:
Non mi sento bene Concetta, e sono pessimista.
Sono sicuro che i medici non mi diranno niente di buono.


Concetta:
non ci voglio nemmeno pensare!
Non ci allarmiamo prima del tempo.
Sei sopravvissuto a tante cose,
che vuoi che sia nu poco di tosse.

Don Pasquale:
Tu non glielo hai detto a Renato?

(Anna fa cenno con la testa)


Don Pasquale:
Renato mi ha scritto che sarebbe tornato presto.
Parla sempre di differenza, ma io non capisco.

Concetta:
Voi lo avete cresciuto come un figlio.

Don Pasquale:
Quando il padre, che stimavo tanto, se ne è andato così all’improvviso,
sono stato io ad andarlo a prendere al collegio.
E’ sempre stato il più bravo di tutti a scuola,
che peccato che non abbia continuato.
Mi è dispiaciuto tanto, ma non gliel’ho mai detto.


Concetta:
Ma gli avete trovato un posto di lavoro!
E non è tanto?

Don Pasquale:
Gli avevo dato due scelte,addirittura e lui ha scelto quella di viaggiare.
Mi ha detto: se non posso più studiare e far viaggiare la mente,
allora lo voglio fare almeno fisicamente.

Concetta
(sorride)

Don Pasquale:
Quando era ragazzino lo chiamavano il filosofo.
Ora insiste con questa storia della differenza.
Sarà qualche altra sua teoria!

Concetta:
Lo ripete sempre anche a me ed ai suoi figli.
Ma io non capisco, o forse non voglio.
Se capissi il senso delle sue parole mi porterebbe via da qua.
Ed io non voglio, questa è la mia Terra.

Don Pasquale:
Mi ripete sempre:
“ci hanno abituato a credere che non c’è via d’uscita”.
E se gli chiedo
Perché qual è la via d’uscita?
mi dice: tu parli così perché non conosci la differenza.


Arriva l’infermiere insieme a Rosa. E’ il fratello.

Concetta:
Allora Gianni, dobbiamo aspettare ancora?


Infermiere:
Sono andati a procurarsi le garze, non si trovano,
sono finite.


Concetta sospira.

  
Renato

La pioggerellina che seguiva ad un temporale schiariva l’aria polverosa di Napoli. L’odore di una città bagnata,impregnava ogni cosa: marciapiedi, grondaie, pali della luce, balconi, cani abbandonati a loro stessi. Le piante e le erbacce in quella calda estate ne avevano ritrovato il sollievo.  
Il rumore di passi sui sanpietrini. Renato, un uomo di una grande prestanza fisica, la barba rada sul volto, occhi chiari, capelli scuri. Mani delicate e gentili. Labbra sottili.
Il tonfo del borsone, Renato è tornato!
Don Pasquale si scorge dalla porta della guardiola ed un grido accompagna un abbraccio caldo e tenero, le grida di gioia riempivano e coprivano ogni rumore di quel palazzo che intonava la sua giornata con ritmi conosciuti.
Amato da tutti, accolto da tutti...corrono da lui i figli e la moglie a percorrere una scalinata lunga che diventa d’improvviso faticosa.
Nessuna domanda, solo il suono delle emozioni e quella pioggerellina copriva le lacrime di gioia e di amarezza di un perdono che era pungente da dare e da ricevere.



La differenza


Concetta:
Tuo figlio si è fatto male ma tu non c’eri…

Renato:
Non c’ero…
quando è successo?
 e perché non me lo hai detto!?

Concetta:
Cambia lavoro…
Ti devo supplicare?
Perché non resti qui,
Don Pasquale mi ha detto che c’è per te
 la possibilità in una fabbrica di un suo amico…

Renato:
sai qual è la differenza?

Concetta:
La differenza? Di che parli?
Sempre con questa storia!!


Renato:
La differenza è quando ti svegli al mattino ascoltando il canto degli uccelli
e sai che quel canto viene dal cielo,

-      si rivolge alla gabbia con i suoi cardellini-
-       
  l’odore dell’erba falciata dalla corsa di un cavallo,
 l’umidità dell’aria al mattino che porta con sé l’odore del risveglio,
 i bambini che giocano con i cani,
 anziani che chiacchierano sulla panchina…
il silenzio…
il silenzio che puoi ascoltare ed ascoltare fino ad assordarti.
La serenità di lasciare andare le cose,
e quella di poterti affezionare, perché tanto sai che torneranno a te.
Gli occhi che posano il loro sguardo sulla bellezza…

Renato si porta verso la finestra della stanza.

Renato:
Quanta bellezza ti perdi...
quella bellezza la porto nei miei abbracci.

Renato prova a stringere Concetta, poi continua.

Renato:
Il rombo dei motori, l’odore nauseabondo che tu non senti più,
 fanno posto all’amore.
L’amore…
 ci è rimasto l’amore…quanto ne ho io per te…

Ma la testa mi porta lontano, lontano da questo posto…


Concetta:
“che stai dicendo?...
continui a raccontare queste cose ed io non ti capisco!”

Renato:
Non mi capisci perché non hai visto!

Concetta:
Che devo dire a Don Pasquale??

Renato va via sbattendo la porta di ingresso. Si sentono arrivare urla strazianti.

Rosa:
Renato! Renato!
  

Il referto

Concetta apre la porta e vede il marito leggere un foglio.
E’ arrivata la risposta che attendevano, il referto medico di Don Pasquale.

Renato (scioccato):
Cancro, cancro ai polmoni.

Renato scivola a terra, accovacciandoci e portandosi le mani sul volto.



In portineria


Don Raffaele:
Don Pasquale che vi è successo?
Che brutta faccia avete stamattina.


Don Pasquale (sbuffa):
Ho saputo che devo morire,
e teng ancora nu sacc e cose a fa


Don Raffaele:
E perché non lo sapevate?
Vi siete ridotto all’ultimo momento??

Don Pasquale:
…mò è l’ultimo momento!
Pensavo di essere arrivato al penultimo…

Don Raffaele:
Ah! Allora io sono al terzultimo.

Don Pasquale:
Ja don raffaè…
Oggi non vi è successo niente??
Tutt’appost??

Don Raffaele:
Tutt’appost oggi
Certo che è un fatto strano…
Avess scuppià o Vesuvio??


Don Pasquale:
Bravo! Chest è una delle cose che tengo da fare.
Andare sul Vesuvio

Don Raffaele:
Io ci sono stato con mia moglie.
Meglio andare da soli,
là sopra ti viene l’istinto omicida



Don Pasquale:
Già…la sparisce tutt cose…


Renato
(entra dalla porta):
Don Raffaele!

Don Raffaele:
Sig. Magliulo che piacere ritrovarvi.
Teng na pizzetta, quella speciale per voi…
Sapevo che tornavate
Dite la verità,
che quando siete fuori la rimpiangete!!!

Don Raffaele esce per andare a prendere la pizzetta.

Renato
(annuisce sorridendo)
Pasquale l’appuntamento dal dottore è alle cinque.

Don Pasquale:
Renato, non voglio finire in un ospedale gli ultimi giorni.
Teng nu sacc e cose a fà


Don Raffaele rientra con la pizzetta e la porge a Renato che ringrazia con un cenno della testa. Al primo morso gli occhi guardano Don Pasquale, lo guarda fisso mentre mastica.


Renato:
Oggi vieni con me, andiamo dal dottore,
ma poi ti porto in un posto




San Martino
San Martino, rappresenta per i Napoletani un puzzle finito di una città con i suoi mille colori e ne rappresenta il suo volto. La sua bellezza risiede nel raccogliere in un piccolo spazio tutte le caratteristiche di una Napoli descritta dal carattere dei napoletani: il panaroma, la storia, la cultura, le tradizioni, la vita. Stradine, vicoli, palazzi, musei, castelli e piazze. Popolato di ragazzi, è consuetudine bere birra seduti sul muretto e godersi lo spettacolo di una città che dall’alto sembra immobile.
Ragazzi giocavano rumorosamente a calcio nello spiazzo dove si trova il Museo della Certosa, al crepuscolo di una serata umida e ventosa, la brezza di terra.


Renato:
Vedi la città Pasquale?
Napoli…meravigliosa.
Va vista da lontano per apprezzarne la sua bellezza.


Il rumore si affievolisce…
diventa silenzio….

Ascolta…ascolta…il silenzio…

E senti? Lo senti il profumo??
Lo senti?? Pasquale, lo senti??
L’odore del mare si porta più lontano del
denso fumo delle auto che ne nascondono la fraganza!


Quell’odore te lo porti con te quando sei lontano,
lo senti addosso sulla pelle.
E ti brucia perché è piena di cicatrici,
i graffi di una città e di un popolo
che non sa più qual è la differenza

la differenza di poter vivere in una maniera diversa
di poter tirar fuori tutta la bellezza da questa terra
viviamo soffocati nella sua furba e sciocca sopravvivenza.
Che ci hanno fatto Pasquale??
Siamo noi stessi vittime del nostro stesso crimine.


Don Pasquale:
Perché non scrivi Renato??
Che fine hanno fatto i tuoi manoscritti, quelli di cui andavi tanto fiero??


Renato:
Ancora non mi capisci eh??
Se te ne devi andare, voglio che tu capisca il senso delle mie parole

Renato si bagna un dito, sente la direzione del vento…poi dalla tasca prende un foglio di carta e lo getta…afferra la mano di don Pasquale e corre trascinandolo nell’affanno. Portatosi più lontano osservano il foglio danzante ai passi del vento, l’invisibile si faceva luce agli occhi. Perso in quel movimento cade ai loro piedi.


Renato:
Siamo noi stessi vittime del nostro stesso crimine.



I funerali


Don Pasquale era una persona allegra e non avrebbe voluto che al suo funerale la gente si battesse il petto e piangesse. Un uomo la cui dignità e il suo orgoglio lo avrebbero fatto innervosire a sentire chi piangeva la debole vittima. Vittima, mai. La gente era accorsa numerosa, la chiesa gremita di familiari ed amici non ce la faceva ad accogliere anche i curiosi.
Profumo di fiori e ventagli a sventolare. Fazzoletti nei petti e le corone tra le mani.
Bambini irrequieti, madri truccate.
Tra i primi banchi Renato in una smorfia di dolore. Barba incolta, camicia sbottonata, scarpe e calzini corti. Aveva organizzato tutto lui, seguiva il feretro appoggiando la mano sull’auto nera che si muoveva lentamente bloccando una città in fuga ed impaziente.


Dignità Napoletana
Dopo i funerali, Renato trovò il suo silenzio nella stanza di Don Pasquale, seduto alla sua piccola scrivania, e fogli disordinati scrive, scrive quelle parole che tanto erano state volute da lui che rappresentava la Napoli che lentamente stava morendo.


Scrivo perché mi sento mortificato.
Non riesco ad accettare le immagini di una città violentata, non più!
Scrivo perché sento il bisogno di far sentire la mia voce,
la voce flebile di gente perbene che ancora esiste e resiste a tutto lo scempio!
Sono sempre stato il primo ad indignarsi di fronte alla "strafottenza" della gente…
Le continue mortificazioni subite da chi non ha amore per ciò che non sente suo
…la città.
Ogni volta che cammino per strada ed ammiro qualcosa di bello,
lo faccio sempre con dedizione…
perché quella potrebbe essere già l'ultima volta…
hanno distrutto monumenti, palazzi antichi, affreschi…
ad Aversa quanti scempi hanno fatto le amministrazioni!
La Siena del sud, è stata sostituita da un dormitorio elegante…
Cancellano la nostra storia, le nostre origini
Ed allora è facile non sentire di aver bisogno di
manifestare il nostro rispetto verso ciò che ci dovrebbe appartenere e
che invece non sentiamo nostro…
Forse tutto quello che sta succedendo adesso potrebbe, in qualche modo,
far nascere una educazione ambientale che, ahimè, non abbiamo mai avuto,
perché forse, guardando a quella che è stata la nostra storia,
le Istituzioni non hanno mai voluto imporci!
Il sud meraviglioso…il sole, il mare ed i suoi profumi,
sono stati deturpati da menti malate…
Come si può pensare di costruire industrie in posti come ad esempio Bagnoli…
Non possiamo mai tenerci veramente
se poi veniamo derubati delle nostre bellezze!!!
Ed ancora costruiscono, costruiscono, costruiscono…
Tra i paesi del napoletano non c'è più soluzione di continuità…
Le strade sono rotte, malandate…I rattoppi durano un attimo…
Ai margini delle strade carcasse di animali morti…
Oggetti abbandonati…
Io non ce l’ho fatta
Non ho retto a tutto questo…sono andato via…
è il mio lavoro a portarmi lontano…

E quella piccola parte di gente perbene diventa sempre più esigua…

Di Napoli porterò forse l'impotenza di non averla potuta salvare…
È proprio l'amore che manca verso la nostra città…
E questo scempio rappresenta la ribellione che essa
ha mosso nei nostri confronti…
Che cosa surreale! Ma è così che mi va di vederla!