La differenza
di
Paola Dama
La città
Quell’angolo di cielo nel primo pomeriggio era sereno, nessuna
nuvola, l’aria tersa e respirabile. Appena la mattina aveva piovuto, ogni cosa
aveva trovato il suo naturale risveglio. Tra i palazzi grigi e consumati, il
celeste si esaltava nella sua elegante trasparenza. I margini erano la cornice
di un quadro che sai di ammirare una sola volta.
E il silenzio di quell’attimo riempiva l’anima di Federica assetata di tanta bellezza.
Occhi neri, profondi, ciglia ricurve e folte, lo sguardo intenso
e fresco di aria, di vita, di amore che
porta con sé l’amara consapevolezza di quanto sia effimero quel sospiro di tale
grazia.
“A volte dimentico di guardare il cielo, ma oggi …” ferma,
immobile a lasciar fotografare la sua posa dall’amica BiancaMaria ferma lì al
suo fianco, sguardo cupo, basso. Quell’attimo passò.
Un rumore ridondante di un sacchetto di bottiglie di vetro
lanciate nel viale aveva interrotto quel silenzio, come fa una sveglia
martellante che al mattino ti rapisce da un dolce sogno. E nella repentina
consapevolezza di trovarsi in una di quelle strade che sai di dover percorrere
velocemente, un motorino incurante della presenza delle due ragazzine lo
attraversa impazzito. Lo sguardo terrorizzato, condiviso, il pericolo era stato
scampato: la borsa era stata messa a tracolla.
“ Vedi perché ti dico sempre di mantenere la borsa in questo modo?”.
Compagne di scuola, di vita, BiancaMaria
aveva sempre tanta premura per Federica, credeva che i suoi consigli potessero
proteggere l’amica del cuore dalla sua fragilità. I passi avanzavano frettolosi.
Saltellanti sui sampietrini tra
escrementi di cane, cartacce, siringhe. Il portone di casa era ad un altro
passo, un salto più lungo.
Rientravano a casa ritrovandosi ogni volta in quel vicolo stretto
di Mezzocannone nel centro storico di
Napoli, a cavallo tra il mare e la collina. Quella via è il centro della vita
universitaria e studentesca del capoluogo Campano. Ha sede qui infatti, la
prima università di Napoli, la Federico II. Antichi musei
di scienze biologiche e naturali sono situati al suo interno e la biblioteca
universitaria consta di oltre 1.200.000 volumi e di circa 18.000 periodici.
E guardarla dal basso, dall’incrocio che porta al mare, quella
salita grigia, scura sembra colorarsi di
coriandoli in caduta libera. Studenti provenienti da ogni parte della Campania la
percorrono, frettolosamente, con ansia in quel ronzio che le è caratteristico.
L’affanno copre quei rumori e la testa china copre distrattamente librerie,
copisterie, cartolerie, bar e locali caratteristici di una Napoli che fu.
Non c’è più memoria della sua etimologia. ll nome della strada non fa alcun riferimento a episodi di tipo
bellico o a un'arma. Allude invece ad una fontana smembrata per l'ampliamento
della strada, fatta costruire nel secolo XV dal Re di Napoli e duca di
Calabria Alfonso II. Questa lunga fontana in piperno, addossata al muro
per l'abbeveramento dei cavalli, era dotata di un tubo estremamente corto e
rappresentava un personaggio aristocratico in atteggiamento impacciato al punto che 'o Rre 'e
Miezocannone" divenne un appellativo per denotare un portamento
ridicolo o particolare goffaggine.
I suoi resti furono conservati in una deposito comunale e così
che andarono successivamente dispersi. Fino a che una parte di essi è stato
ritrovato, alcuni anni fa, da Giancarlo Alisio: un pezzo di marmo quadrato
con una iscrizione ad Alfonso II e una testa di medusa da cui zampillava
l'acqua, analogamente alla Fontana dei Serpi presso via del Pendino.
Il Palazzo
Le ragazzine finalmente entrano di corsa nel portone, affannate e un po’ svampite. L’ansia di
volersi trovare al riparo nell’androne del palazzo a mascherare i rumori
assordanti di una città in fuga ed in trappola.
“Signorinelle
belle! Di corsa? E oggi un po’ più tardi eh?” Ecco la voce familiare di Don
Pasquale, il portiere, un uomo di corporatura minuta, gambe arcuate, a causa
delle quali probabilmente sarebbe stato anche più alto. Dicevano di lui essere
un bravissimo calciatore da adolescente, infortunato ad un ginocchio ha scelto
di fare un lavoro sedentario. La sua sediolina era sempre al di fuori della sua
portineria, a scambiar parole buone per tutti e a venir a conoscenza di quanto
accadeva nel quartiere. Qualcuno sosteneva che le sue capacità sensoriali
andavano ben oltre la Sanità.
“Eccole le nostre bambine! Sono arrivate”. Il cortile del palazzo
era un bacino di vite, di rumori e di profumi di un giorno che trascorre
scandito dall’odore del caffè al mattino, dalle radioline accese delle massaie, dalle
stoviglie dell’ora di pranzo e dal ragù della domenica. E i panni
gocciolano appesi alle corde legate ai balconi, in una nuova scenografia
quotidiana.
Il Palazzo era di
cinque piani, c’era una scalinata centrale da cui partivano due corridoi aperti,
senza infissi che percorrevano esternamente tutta la struttura. Ancora senza
ascensore, l’uso dei panieri era una sorta di canto. Ognuno intonava in base al
piano che si doveva raggiungere, e l’urlo più alto rimaneva quello del quinto.
L’uso del citofono era raro, la vita si svolgeva dentro e fuori le proprie
dimore.
Puntuali, nell’ora del rientro delle loro figlie, la madre di
Federica e di Bianca, si ritrovavano affacciate al balcone comune sull’androne del
palazzo. In attesa di vedere le loro ragazze avrebbero buttato la pasta per
mangiarla rigorosamente al dente. Premura di mamma. Tra le loro rughe
traspariva l’avvenenza e la bellezza della tenera età passata. I giorni si sono
contati solo nell’attesa delle occasioni speciali.
Anna:
E che vi ha detto?
Rosa:
Mi ha detto di prendere sali minerali e vitamine. Mi ha dato pure
una medicina, solo che adesso non
ricordo il nome…
ho dato la ricetta a Gianni, vede lui se lo trova nel suo reparto…
Anna:
Ieri ho chiesto a Gianni di portarmi qualche medicazione.
Rosa:
ieri sera al pronto soccorso non si è capito niente. E’ tornato a
casa distrutto.
Anna:
Perché che è successo?!
I tacchi rumorosi rimbombavano tra le scale del palazzo, il passo
frettoloso e deciso. Il ticchettio irregolare. La signora Scognamiglio, aveva
sposato un conte, di quelli pochi che continuavano a mantenere un titolo
nobiliare in una Napoli in cui il voi borbonico dona una regalità a chiunque. Le
sue origini e la sua eleganza vengono interrotte da un urlo isterico.
“Maronna mia con sti panni spasi!
Mi deve andare a finire sempre l’acqua addosso!”
E Rosa in una smorfia ed un gesto
plateale si rivolge all’amica dicendo:
Si lamenta sempre a’ contessa!
-e poi aggiunge-
E Renato? Quando dovrebbe tornare Renato?
Anna:
Ancora qualche giorno e sta qua!
Rosa:
Glielo avete detto di Don Pasquale?
Anna:
Ho pensato di dirglielo quando torna, per adesso lo voglio far
stare tranquillo-
persa in un nostalgico sospiro- ma poi quante altre cose che non
sa!
Don Raffaele
I rumori della città contenuti tra
quelle mura del palazzo e il portone dell’androne vengono interrotti da un
calckson, è il camioncino di don Raffaele.
Rosa:
Don Raffaele! Mò è arrivato?!
Qualche altra cosa è successa!
Rosa e Concetta corrono giù per le scale. Musica neomelodica
suona dal camioncino. Una impalcatura di scaffali di alluminio, porta ogni tipo
di cibo e di bevanda. Roba fresca, roba presa nelle campagne dell’aversano e
del Napoletano. La mozzarella di bufala di Aversa, il fiordilatte di Agerola, i
pomodorini del Vesuvio, l’asprinio dell’Agro Aversano, i cavolfiori di Acerra, la
pasta di Gragnano, la pizza a metro di Meta di sorrento, il miele biologico e l’olio
extravergine del salernitano.
Don Raffaele, un uomo sulla cinquantina che porta sulle spalle il
peso dei suoi anni, lavorava al comune, poi per una disgrazia familiare dovette
lasciare Napoli per poi ritrovarsi ad arrangiarsi in quello che considerava il
business migliore che avesse mai potuto pensare.
Sudato con un bicchiere in mano, appoggiato alla porta della
portineria, raccontava la sua giornata al portiere del palazzo seduto alla sua
piccola scrivania.
mi hanno dovuto pure
prestare il crick, il mio si è rotto!
Don Pasquale
Ma dove è successo?
Don Raffaele:
Sulla statale
dietro al cimitero, mentre passavo ho sentito una botta
e me so pure cacato sotto!!
C’era un fosso enorme, ieri
non c’era ..
Don Pasquale:
Sarà stata la pioggia di stanotte
Don Raffaele:
…significa che domani mi
stong cchiù accort,
mò lo tengo segnalato!..
Un altro che tengo
segnalato…
Don Pasquale:
Già ho capito, lo tengo segnalato anche io
Don Raffaele:
….quello dietro ai monaci…
Don Raffaele:
i preti ci hanno messo pure un cartello:
per chi buca la ruota un caffè ed una
benedizione…
Don Pasquale:
accussì si fann
le offerte ai giorni d’oggi….
-girandosi verso la porta-
Donna Carmela buongiorno!
Carmela (fuori campo):
A
quest’ora venite??? Oggi che è successo?
Qualche altra novità?
Don Raffaele:
Stavo appunto spiegando a Don Pasquale…
Carmela:
Uè io non tengo tempo da perdere
questi mò
arrivano e vogliono trovare pronto!
Don Raffaele esce dalla portineria. Il portiere rimane solo seduto,
il quadro del papa e di Pertini, un corno, posta da consegnare, attrezzi
disordinati e una lettera sulla scrivania.
La maglietta macchiata, le mani unte, gli occhiali cadenti sul
naso, sospira in una smorfia di smarrimento e legge..
Capisci quando parlo di differenza?
Tu dici a qualcuno: "questa mela
è cattiva". Ma a quella mela lui ci è abituato. Ti guarderà come se tu
fossi matto. Quello che devi fare è dargli una mela migliore. Anche solo un
pezzetto. Non importa, anche solo un pezzetto. Gli dici: "adesso assaggia
questa". E lui dice: "diamine, è diversa". Non so se mi piace di
più , ma è diversa", e poi forse comincia a interessarsi, e dice: "
dammi una mela intera , vediamo che succede"
La strada
Quel pomeriggio era caldo ed afoso. Donne in abiti scuri, tra i
fiori, rose e tulipani, recitano sedute il Rosario vicino alla Madonnina, nel
piccolo movimento di dita ed il capo chino.
Ed intanto lo schiamazzo era puntuale nelle giornate estive. Ragazzini
per strada ad inventarsi il gioco del calcio con porte del campo immaginario improvvisate tra
sacchetti di spazzatura.
Carletto:
Ma dove tiri? Guarda dove l’hai buttata!
Checco:
E vabbè vado io a riprenderla.
Mentre Francesco scava tra i rifiuti
per cercare il pallone, il portiere raggiunge i ragazzi affannosamente.
Don Pasquale (con tanto di affanno):
Che state facendo? Mannaggia…
non ce la faccio nemmeno a correre!
Avete scombinato tutti i sacchetti.
(i ragazzini ridono)
Abbiamo fatto l’ultima riunione di
condominio proprio per mettere un poco di ordine qua fuori!
Carletto:
e tanto chi se ne accorge?
Don Pasquale:
chi se ne accorge?
Avete scamazzato tutti i sacchetti del ragioniere,
proprio lui che è un matematico
se ne accorge subito….
Mannaggia!
Chill è accussì preciso!
Carletto:
Lo hai trovato? Checco lo hai trovato?
Intanto un auto passa lanciando carte ed altro dal finestrino
della macchina.
Vecchietta seduta:
ma con tutta questa munnezza che ce sta in giro,
chist proprio qua deve buttare le carte!
Anna (torna con le buste della spesa):
Francesco! Francesco!
Non ti sporcare un’altra volta.
Checco (tra urla di dolore):
Mi sono tagliato, mi sono tagliato!
Don Pasquale:
Mannaggia a morte!
Al Prontosoccorso
Seduti su sedie di fortuna in mezzo al corridoio, aspettano
l’infermiere per medicare Francesco. Il pavimento segnato, i muri fatiscenti. L’odore
di medicinale misto a fumo di sigaretta acquisiva una nuova fraganza.
Sul muro i ricordi di chi è stato là ad aspettare a lungo,
scritte che forse non verranno mai lavate via.
Anna (rivolgendosi al figlio):
Te lo dico sempre di stare attento a giocare là in mezzo.
Ora che sta tornando tuo padre ti fai pure trovare così
Don Pasquale:
Stiamo tutti aspettando il suo rientro,
ora più che mai.
Concetta:
già!
Don Pasquale:
Non mi sento bene Concetta, e sono pessimista.
Sono sicuro che i medici non mi diranno niente di buono.
Concetta:
non ci voglio nemmeno pensare!
Non ci allarmiamo prima del tempo.
Sei sopravvissuto a tante cose,
che vuoi che sia nu poco di tosse.
Don Pasquale:
Tu non glielo hai detto a Renato?
(Anna fa cenno con la testa)
Don Pasquale:
Renato mi ha scritto che sarebbe tornato presto.
Parla sempre di differenza, ma io non capisco.
Concetta:
Voi lo avete cresciuto come un figlio.
Don Pasquale:
Quando il padre, che stimavo tanto, se ne è andato così
all’improvviso,
sono stato io ad andarlo a prendere al collegio.
E’ sempre stato il più bravo di tutti a scuola,
che peccato che non abbia continuato.
Mi è dispiaciuto tanto, ma non gliel’ho mai detto.
Concetta:
Ma gli avete trovato un posto di lavoro!
E non è tanto?
Don Pasquale:
Gli avevo dato due scelte,addirittura e lui ha scelto quella di viaggiare.
Mi ha detto: se non posso più studiare e far viaggiare la mente,
allora lo voglio fare almeno fisicamente.
Concetta
(sorride)
Don Pasquale:
Quando era ragazzino lo chiamavano il filosofo.
Ora insiste con questa storia della differenza.
Sarà qualche altra sua teoria!
Concetta:
Lo ripete sempre anche a me ed ai suoi figli.
Ma io non capisco, o forse non voglio.
Se capissi il senso delle sue parole mi porterebbe via da qua.
Ed io non voglio, questa è la mia Terra.
Don Pasquale:
Mi ripete sempre:
“ci hanno abituato a credere che non c’è via d’uscita”.
E se gli chiedo
Perché qual è la via d’uscita?
mi dice: tu parli così perché non conosci la differenza.
Arriva l’infermiere insieme a Rosa. E’
il fratello.
Concetta:
Allora Gianni, dobbiamo aspettare ancora?
Infermiere:
Sono andati a procurarsi le garze, non si trovano,
sono finite.
Concetta sospira.
Renato
La pioggerellina che seguiva ad un temporale schiariva l’aria
polverosa di Napoli. L’odore di una città bagnata,impregnava ogni cosa:
marciapiedi, grondaie, pali della luce, balconi, cani abbandonati a loro
stessi. Le piante e le erbacce in quella calda estate ne avevano ritrovato il
sollievo.
Il rumore di passi sui sanpietrini. Renato, un uomo di una grande
prestanza fisica, la barba rada sul volto, occhi chiari, capelli scuri. Mani
delicate e gentili. Labbra sottili.
Il tonfo del borsone, Renato è tornato!
Don Pasquale si scorge dalla porta della guardiola ed un grido
accompagna un abbraccio caldo e tenero, le grida di gioia riempivano e
coprivano ogni rumore di quel palazzo che intonava la sua giornata con ritmi
conosciuti.
Amato da tutti, accolto da tutti...corrono da lui i figli e la
moglie a percorrere una scalinata lunga che diventa d’improvviso faticosa.
Nessuna domanda, solo il suono delle emozioni e quella pioggerellina
copriva le lacrime di gioia e di amarezza di un perdono che era pungente da
dare e da ricevere.
La differenza
Concetta:
Tuo figlio si è fatto male ma tu non c’eri…
Renato:
Non c’ero…
quando è successo?
e perché non me lo hai
detto!?
Concetta:
Cambia lavoro…
Ti devo supplicare?
Perché non resti qui,
Don Pasquale mi ha detto che c’è per te
la possibilità in una
fabbrica di un suo amico…
Renato:
sai qual è la differenza?
Concetta:
La differenza? Di che parli?
Sempre con questa storia!!
Renato:
La differenza è quando ti svegli al mattino ascoltando il canto
degli uccelli
e sai che quel canto viene dal cielo,
- si rivolge alla gabbia con i suoi cardellini-
-
l’odore dell’erba
falciata dalla corsa di un cavallo,
l’umidità dell’aria al
mattino che porta con sé l’odore del risveglio,
i bambini che giocano con
i cani,
anziani che chiacchierano
sulla panchina…
il silenzio…
il silenzio che puoi ascoltare ed ascoltare fino ad assordarti.
La serenità di lasciare andare le cose,
e quella di poterti affezionare, perché tanto sai che torneranno
a te.
Gli occhi che posano il loro sguardo sulla bellezza…
Renato si porta verso la finestra
della stanza.
Renato:
Quanta bellezza ti perdi...
quella bellezza la porto nei miei abbracci.
Renato prova a stringere Concetta,
poi continua.
Renato:
Il rombo dei motori, l’odore nauseabondo che tu non senti più,
fanno posto all’amore.
L’amore…
ci è rimasto
l’amore…quanto ne ho io per te…
Ma la testa mi porta lontano, lontano da questo posto…
Concetta:
“che stai dicendo?...
continui a raccontare queste cose ed io non ti capisco!”
Renato:
Non mi capisci perché non hai visto!
Concetta:
Che devo dire a Don Pasquale??
Renato va via sbattendo la porta di
ingresso. Si sentono arrivare urla strazianti.
Rosa:
Renato! Renato!
Il referto
Concetta apre la porta e vede il
marito leggere un foglio.
E’ arrivata la risposta che
attendevano, il referto medico di Don Pasquale.
Renato (scioccato):
Cancro, cancro ai polmoni.
Renato scivola a terra,
accovacciandoci e portandosi le mani sul volto.
In portineria
Don Raffaele:
Don Pasquale che vi è successo?
Che brutta faccia avete stamattina.
Don Pasquale (sbuffa):
Ho saputo che devo morire,
e teng ancora nu sacc e cose a fa
Don Raffaele:
E perché non lo sapevate?
Vi siete ridotto all’ultimo momento??
Don Pasquale:
…mò è l’ultimo momento!
Pensavo di essere arrivato al penultimo…
Don Raffaele:
Ah! Allora io sono al terzultimo.
Don Pasquale:
Ja don raffaè…
Oggi non vi è successo niente??
Tutt’appost??
Don Raffaele:
Tutt’appost oggi
Certo che è un fatto strano…
Avess scuppià o Vesuvio??
Don Pasquale:
Bravo! Chest è una delle cose che tengo da fare.
Andare sul Vesuvio
Don Raffaele:
Io ci sono stato con mia moglie.
Meglio andare da soli,
là sopra ti viene l’istinto omicida
Don Pasquale:
Già…la sparisce tutt cose…
Renato
(entra dalla porta):
Don Raffaele!
Don Raffaele:
Sig. Magliulo che piacere ritrovarvi.
Teng na pizzetta, quella speciale per voi…
Sapevo che tornavate
Dite la verità,
che quando siete fuori la rimpiangete!!!
Don Raffaele esce per andare a
prendere la pizzetta.
Renato
(annuisce sorridendo)
Pasquale l’appuntamento dal dottore è alle cinque.
Don Pasquale:
Renato, non voglio finire in un ospedale gli ultimi giorni.
Teng nu sacc e cose a fà
Don Raffaele rientra con la pizzetta
e la porge a Renato che ringrazia con un cenno della testa. Al primo morso gli
occhi guardano Don Pasquale, lo guarda fisso mentre mastica.
Renato:
Oggi vieni con me, andiamo dal dottore,
ma poi ti porto in un posto
San Martino
San Martino, rappresenta per i Napoletani un puzzle finito di una
città con i suoi mille colori e ne rappresenta il suo volto. La sua bellezza
risiede nel raccogliere in un piccolo spazio tutte le caratteristiche di una Napoli
descritta dal carattere dei napoletani: il panaroma, la storia, la cultura, le
tradizioni, la vita. Stradine, vicoli, palazzi, musei, castelli e piazze. Popolato
di ragazzi, è consuetudine bere birra seduti sul muretto e godersi lo spettacolo di una città che dall’alto sembra immobile.
Ragazzi giocavano rumorosamente a calcio nello spiazzo dove si
trova il Museo della Certosa, al crepuscolo di una serata umida e ventosa, la
brezza di terra.
Renato:
Vedi la città Pasquale?
Napoli…meravigliosa.
Va vista da lontano per apprezzarne la sua bellezza.
Il rumore si affievolisce…
diventa silenzio….
Ascolta…ascolta…il silenzio…
E senti? Lo senti il profumo??
Lo senti?? Pasquale, lo senti??
L’odore del mare si porta più lontano del
denso fumo delle auto che ne nascondono la fraganza!
Quell’odore te lo porti con te quando sei lontano,
lo senti addosso sulla pelle.
E ti brucia perché è piena di cicatrici,
i graffi di una città e di un popolo
che non sa più qual è la differenza
la differenza di poter vivere in una maniera diversa
di poter tirar fuori tutta la bellezza da questa terra
viviamo soffocati nella sua furba e sciocca sopravvivenza.
Che ci hanno fatto Pasquale??
Siamo noi stessi vittime del nostro stesso crimine.
Don Pasquale:
Perché non scrivi Renato??
Che fine hanno fatto i tuoi manoscritti, quelli di cui andavi
tanto fiero??
Renato:
Ancora non mi capisci eh??
Se te ne devi andare, voglio che tu capisca il senso delle mie
parole
Renato si bagna un dito, sente la direzione del vento…poi dalla
tasca prende un foglio di carta e lo getta…afferra la mano di don Pasquale e
corre trascinandolo nell’affanno. Portatosi più lontano osservano il foglio danzante
ai passi del vento, l’invisibile si faceva luce agli occhi. Perso in quel
movimento cade ai loro piedi.
Renato:
Siamo noi stessi vittime del nostro stesso crimine.
I funerali
Don Pasquale era una persona allegra e non avrebbe voluto che al
suo funerale la gente si battesse il petto e piangesse. Un uomo la cui dignità
e il suo orgoglio lo avrebbero fatto innervosire a sentire chi piangeva la
debole vittima. Vittima, mai. La gente era accorsa numerosa, la chiesa gremita di
familiari ed amici non ce la faceva ad accogliere anche i curiosi.
Profumo di fiori e ventagli a sventolare. Fazzoletti nei petti e
le corone tra le mani.
Bambini irrequieti, madri truccate.
Tra i primi banchi Renato in una smorfia di dolore. Barba
incolta, camicia sbottonata, scarpe e calzini corti. Aveva organizzato tutto
lui, seguiva il feretro appoggiando la mano sull’auto nera che si muoveva
lentamente bloccando una città in fuga ed impaziente.
Dignità Napoletana
Dopo i funerali, Renato trovò il suo
silenzio nella stanza di Don Pasquale, seduto alla sua piccola scrivania, e
fogli disordinati scrive, scrive quelle parole che tanto erano state volute da
lui che rappresentava la Napoli che lentamente stava morendo.
Scrivo perché mi sento mortificato.
Non riesco ad accettare le immagini di una città violentata, non più!
Scrivo perché sento il bisogno di far sentire la mia voce,
la voce flebile di gente perbene che ancora esiste e resiste a tutto lo scempio!
Sono sempre stato il primo ad indignarsi di fronte alla "strafottenza" della gente…
Le continue mortificazioni subite da chi non ha amore per ciò che non sente suo
…la città.
Ogni volta che cammino per strada ed ammiro qualcosa di bello,
lo faccio sempre con dedizione…
perché quella potrebbe essere già l'ultima volta…
hanno distrutto monumenti, palazzi antichi, affreschi…
ad Aversa quanti scempi hanno fatto le amministrazioni!
La Siena del sud, è stata sostituita da un dormitorio elegante…
Cancellano la nostra storia, le nostre origini
Ed allora è facile non sentire di aver bisogno di
manifestare il nostro rispetto verso ciò che ci dovrebbe appartenere e
che invece non sentiamo nostro…
Forse tutto quello che sta succedendo adesso potrebbe, in qualche modo,
far nascere una educazione ambientale che, ahimè, non abbiamo mai avuto,
perché forse, guardando a quella che è stata la nostra storia,
le Istituzioni non hanno mai voluto imporci!
Il sud meraviglioso…il sole, il mare ed i suoi profumi,
sono stati deturpati da menti malate…
Come si può pensare di costruire industrie in posti come ad esempio Bagnoli…
Non possiamo mai tenerci veramente
se poi veniamo derubati delle nostre bellezze!!!
Ed ancora costruiscono, costruiscono, costruiscono…
Tra i paesi del napoletano non c'è più soluzione di continuità…
Le strade sono rotte, malandate…I rattoppi durano un attimo…
Ai margini delle strade carcasse di animali morti…
Oggetti abbandonati…
Io non ce l’ho fatta
Non riesco ad accettare le immagini di una città violentata, non più!
Scrivo perché sento il bisogno di far sentire la mia voce,
la voce flebile di gente perbene che ancora esiste e resiste a tutto lo scempio!
Sono sempre stato il primo ad indignarsi di fronte alla "strafottenza" della gente…
Le continue mortificazioni subite da chi non ha amore per ciò che non sente suo
…la città.
Ogni volta che cammino per strada ed ammiro qualcosa di bello,
lo faccio sempre con dedizione…
perché quella potrebbe essere già l'ultima volta…
hanno distrutto monumenti, palazzi antichi, affreschi…
ad Aversa quanti scempi hanno fatto le amministrazioni!
Cancellano la nostra storia, le nostre origini
Ed allora è facile non sentire di aver bisogno di
manifestare il nostro rispetto verso ciò che ci dovrebbe appartenere e
che invece non sentiamo nostro…
Forse tutto quello che sta succedendo adesso potrebbe, in qualche modo,
far nascere una educazione ambientale che, ahimè, non abbiamo mai avuto,
perché forse, guardando a quella che è stata la nostra storia,
le Istituzioni non hanno mai voluto imporci!
Il sud meraviglioso…il sole, il mare ed i suoi profumi,
sono stati deturpati da menti malate…
Come si può pensare di costruire industrie in posti come ad esempio Bagnoli…
Non possiamo mai tenerci veramente
se poi veniamo derubati delle nostre bellezze!!!
Ed ancora costruiscono, costruiscono, costruiscono…
Tra i paesi del napoletano non c'è più soluzione di continuità…
Le strade sono rotte, malandate…I rattoppi durano un attimo…
Ai margini delle strade carcasse di animali morti…
Oggetti abbandonati…
Io non ce l’ho fatta
Non ho retto a tutto questo…sono andato via…
è il mio lavoro a portarmi lontano…
è il mio lavoro a portarmi lontano…
E quella piccola parte di gente perbene diventa sempre più
esigua…
Di Napoli porterò forse l'impotenza di non averla potuta salvare…
È proprio l'amore che manca verso la nostra città…
E questo scempio rappresenta la ribellione che essa
ha mosso nei nostri confronti…
Che cosa surreale! Ma è così che mi va di vederla!
Di Napoli porterò forse l'impotenza di non averla potuta salvare…
È proprio l'amore che manca verso la nostra città…
E questo scempio rappresenta la ribellione che essa
ha mosso nei nostri confronti…
Che cosa surreale! Ma è così che mi va di vederla!